lunedì 31 dicembre 2012

casa.


mimo ancora il mio carattere 
iperattivo e iperuranio 
da un'altra parte che 
turbato è intatto e resta 

resisto e parlo di te, mia 
fiducia assente, alta grazia 
sei la voglia che mi scalda 
e la tragedia che mi affanna 

arranco sui miei passi 
girovaga e giuliva, guida 
dello spirito mio che sempre 
persiste nella ricerca 

della città perduta, casa. 







auguri dall'ascensore. 

sabato 15 dicembre 2012

passatopresentimento


non costa niente
venire qui
parlare scrivere
decidere
sottolineo le cose da fare
mettendoci assieme
anche
le cose che non farò
essere innamorati non costa niente
tenere il telefono
sotto il mento
per sentirti
ancora
non costa niente

c'è un momento
di ogni giorno
in cui
ti vedo
perfettamente
in me

sembro una cantilena
un piatto di pasta
a volte
mi faccio noia
da sola
eppure 
tu
mi risvegli 
sempre
ancora
coi pizzichi
magici 
del sonno 


lunedì 10 dicembre 2012

trepercento

ho il freddo al posto del pane 
sotto i denti in questo stato 
e vaneggio di fronte a te 
che non apprezzi 
le mie carezze 

sono dell'attesa 
l'eroina stabile 
la fedele creatura 
martire 

sono la terza parte 
piccola percentuale d'audacia 
combattente in guerra 
e andata 

mi soffermerei su di te 
che ancora scosso indietreggi 
al mio porgerti la guancia 
e sorridi dei miei modi familiari 

non sono più, per te 
l'ombra 
sono l'attesa 
in un portone 
colei che molto dice 
poco fa, tra le scale 
che fischia l'addio 
quando vorrebbe 
un rinnovo 



sto con il vuoto d'ascensore e il pianto dei coccodrilli. 

lunedì 29 ottobre 2012



Nella differenza di tempo e spazio
ci percorriamo nelle parole distanti
che non curiamo. C’è
un sorriso piccolo in noi
un segreto e sei
di questa terra oppure
di un posto impercettibile al
tatto e la musica che hai
e che dai è
di conseguenza
vento aspirato
e gioia
e numero primo
armonia d’essere
comprensione, traguardo



C’è una parola che ancora
non ti ho detto, nemmeno
nel momento più intimo o
all’imbarco del nostro primo
addio. Riesco a spiegarti, poco,
che quasi sei d’acqua
un disegno lontano
perplesso
di lotta
insistente
esistente


(...) 

martedì 18 settembre 2012

saluti



avevo iniziato a fare le radici
avevo iniziato a trascinare le mie radici 
e le mie speranze lungo 
la scrivania di carta 
che avevo costruito 
per te 
che non eri promesse vantaggi 
non eri quello che raccontavi 
e sapevi tutto di me e delle mie 
radici 
conservavi in te 
ogni piccola parte 
ogni dolore 
mio 
era tuo 
per riflesso 

(...) 

sabato 7 luglio 2012

promesse!



{...}

il tuo essere umano e del mondo
della grazia e delle sensazioni
del fuoco tutto e delle unioni
non mi allerta quanto la tua lontananza
piuttosto mi rincuora
e mi promette



premessa
né più io
né più tu, mio 

giovedì 17 maggio 2012

I am empty as a promise, but for once I meant what I said







mi riusciresti a disegnare 


mi potresti disegnare 


solo tu che hai imparato 


a memoria le mie asimmetrie 


i miei difetti e tutti i movimenti 




mi potresti disegnare solo tu 


che hai apprezzato anche 


il malcontento e i lamenti 


tutti i litigi li hai presi e raccolti 


nella tua collezione di peripezie 


e fulmini a cielo aperto 




guarda 


ti si aprono anche gli occhi 


(...) 

mercoledì 16 maggio 2012

ore 10:59

un punto fermo in mezzo all'acqua sta ancora aspettando me che spasso e ripasso in mezzo ai libri e alle cose da studiare. sono diventata una cosa che non sogna più, che non parla e non mangia. sono diventata la tua speranza (vana) e la tua dimenticanza. il tappeto assorbe tutti i pensieri, non c'è più spazio per me nè per quello che sono diventata, io che ormai sono una cosa o una rosa.
le opinioni mi interessano nel momento in cui ci si deve per forza staccare. nel senso
mi allontano, sì
amore
poi ti chiamo
e ti spiego
perchè

martedì 8 maggio 2012

ai momenti



cosa manca alle mie mani 


cosa manca alla mia voce 

cosa manca alle promesse 

ai momenti - aspetta 

che adesso arrivo 

inizia a scendere 



dove sei finito 

ne hai approfittato 

ti sei nascosto 

nella tua isola di mare 


io milioni di fogli dopo 

non oso più calcolare 

il tempo che rimane 

non riesco più a spiegare 

il mio continuo restare 

il tuo mare ce l'ho dentro 

che non si vuole staccare 



(è tutto ok 

è tutto ok 

è tutto 



ok)

sabato 21 aprile 2012

Le risate di passaggio.


"C'è un gatto dentro casa." 

"Ma che dici?" 

"Ti dico che c'è un gatto dentro casa, guarda!" 

Il padre lo osservò con l'aria beffarda di chi non ci crede e spostò la tenda a righe bianche e blu della sua stanzetta di mare. Effettivamente - dovette ricredersi - sulle mattonelle bollenti del balcone, al terzo e ultimo piano di una palazzina antica, sonnecchiava un gatto rosso. Enorme, peraltro. 
C. adesso guardava suo padre con disprezzo. Non c'era stata una sola volta in cui l'avesse creduto in tutta la sua (ancora) piccola vita. Ma adesso che aveva ragione a rigor di logica, suo padre l'avrebbe dovuto premiare. Con un sorriso, magari, o anche solo una pacca sulla spalla prima di andare a leggere il giornale altrove. 

"Papà" C. gli interruppe i pensieri: rimase stranamente colpito da quella macchia di pelo sulla ceramica, non smetteva di fissarla. "Papà" continuò, "ma io ce l'avrò un posto nel mondo?" 

Suo padre a quel punto respinse a forza l'immagine del gatto per impossessarsi di quella delle sue scarpe. Se le guardava soddisfatto e sorrideva, ridacchiava, fino ad aprirsi in una fragorosa risata che impietrì C. demoralizzandolo ancora di più. 

"Se lo vuoi, non ti devi mai innamorare." E si chiuse la porta alle spalle continuando a ridere. 


C. a quel punto non solo adottò il gatto, ma se ne innamorò pure. 
E suo padre da allora non hai mai smesso di essere fiero di lui. 

martedì 17 aprile 2012

quelle poesie che non ti spieghi punto blogspot


te ne sei andato 

con il mio odore 

la mia valigia l'hai presa a metà 

trascinando solo il dolore 

hai dovuto pensare 

che se ne avessi avuto occasione 

con me c'avresti fatto l'amore 

nelle nostre mani 

che si rincorrevano 

sulla parole diverse 

che usavamo 

per dirci 

ti amo 

domenica 15 aprile 2012

but you


soltanto voi riuscite ad avere
 
la risposta pronta del cattivo 

perchè siete cresciuti 

siete diventati grandi 

lasciandomi sul banchetto 

della terza elementare 

vi siete distratti 

e avete proseguito 

senza pensare

che un giorno 

tutto questo

non vi sarà 

restituito 


ho ritrovato un pastello azzurro, di quelli che avevo alle medie. mi ha fatto ricordare che una volta, dopo averlo prestato, mi fu restituito spezzato e con la punta temperata su entrambe le estremità. ritrovandolo, ci sono rimasta male come allora, pensando anche però a "cosa starà facendo quella lucertola di D.? avrà continuato gli studi?". 
poi mi è venuto in mente che a lei piacevano tanto i giubbbbbini con infinite bbì, che dava ad ognuno di loro un nome e che erano guai amari per chiunque glieli toccasse. 
allora ho riso pensando alle mie disgrazie da studentessa universitaria, triste e solitaria e nommiricordoppiùiltesto.   

:) 

venerdì 13 aprile 2012

una P puntata molto, molto grande

la tua stranezza 
non è compatibile 
con il mio essere 
del mondo 

Signorina Margherita - Epilogo



mettiti a studiare 
altrimenti dove credi di andare 
vuoi viaggiare?, qualche volta anche restare 
e la tua voglia di scappare rimane attaccata al collo 
come una colpa 

mi stendo a terra 
riflessa sul pavimento 
non c'è più niente 
oltre questo 

solo in ciò che si crea 
si deve credere 
neanche nei pensieri che adesso 
non ho nemmeno più 

c'è qualcosa di voluto 
nella mia speranza innocente 
nella mia gratitudine 
mentre guardo te che dormi 


su di me 


si forma e si conserva 
geloso 
tutto il piacere più bello 
e il segreto 
di averti accanto 


giovedì 5 aprile 2012

io sono così infastidita da voi 
da non fottermene proprio 


e sì, la parola "fottermene" stona un sacco. 

domenica 1 aprile 2012


maledetta sia io 
sgradevole e infelice 
dall'odore macabro 
mi spoglio di me ai tuoi occhi 
che non mi accompagnano 

le cose facili 
non le so dire 
so solo 
eternamente e
umanamente 
lamentarmi 
io che non ho labbra rosse 
che di sottile 
ho solo il pensiero 

la mia speranza è ormai immobile


non sono più 
 


venerdì 30 marzo 2012

tutto normale - 8

Margherita si rese conto di essere completamente sola nel momento in cui a volerle bene durante la sua ultima settimana da diciannovenne non ci fu neanche un'anima. Era passato molto tempo, eppure la signorina ricordava ancora quei momenti arricciando il naso per frenare qualche lacrima. 
Il vetro della finestra della cucina sporco di pioggia e sabbia; l'estate si avvicina. 
Margherita aspetta il conto... 

occhiolini


perchè nascondi le cose che scrivi?

sabato 24 marzo 2012

haricot


 

una parte piccola di me
nascosta dice 
non crescere mai 
dei tuoi racconti farai
gioia per i tuoi figli 
che avranno la tua stessa età 
di pensiero maldestro 

una parte piccola di me
testarda dice 
prosegui che la fila è lunga 
non ti fermare 
proprio adesso 
che non sai nemmeno 
dove andare 

una parte piccola di me 
un'altra, dice 
quanto rancore hai saputo 
far tacere e custodire 
sei diventata un acaro acerbo 
viaggi sul muro che sembri 
indisturbata e distrutta 



l'ultima parte piccola di me
vergognosa sibila
perchè non lo fai?,
dal male si può scappare 

basta respirare 
nel mare

Trenta e passa

tu che mi hai imbrogliato 
con il mio nome scritto negli angoli 
e nel buio e ovunque 
anche nelle tue paure d'allarme

io sono sola 
a vedere dei progetti che in un passato hai rimpianto 
ma che adesso nemmeno sfiori 
io che sono sola 
sforo nella gelosia immonda 
delle tue scene pubbliche 
del tuo poco soffrire

non mi interessa 

non disturberei mai 
il tuo sonno di risa 
come potrei permettermi 
di allontanarti dalla tua esistenza 
tu così umano 
e cattivo 
completamente 
mi chiudi in un bozzo di colpe 
e mi togli il mondo 
e mi uccidi 

giovedì 22 marzo 2012

fin

salvata non si può fare
cullata forse sì
nella vendemmia nel mio disincanto
primavera di questo tempo

a guardare il mare hai paura
perchè forse ti ricorda vendemmie diverse
dalle mie
che ormai usate non curi più

ti sorprendo stanco a battere
con la testa contro il comodino
digrigni i denti nella mia insicurezza
ambulante di bile e di noia

non so parlare di rivoluzione
non so parlare delle ingiustizie
però so confondere l'amore e il bene
nel momento in cui mi allontano

sono
una sostanza imprecisa
stranezze bucoliche
ipertensioni
strade da rivivere

lunedì 19 marzo 2012

Girasoli - 7?

Bologna quella mattina raccontava cose nuove. Dalla finestra della cucina, Margherita riusciva a contare bene le nuvole, osservandone il cammino stanco della loro primavera ormai alle porte. "Chissà com'è il mare adesso" si chiedeva, e tutto riusciva in qualche modo ad orientarsi in maniera diversa, prendendo posizioni e stimoli a lei totalmente opposti. Certe volte si sentiva fuori dal mondo a tal punto da ricordarsi a fatica i suoi connotati, il posto delle cose in casa, alcuni particolari del suo stesso passato. Riponeva tutto con cura in una miscela organica di ricordi, scrivendo saltuariamente su un diario, giusto per appuntare le cose che - si diceva - un giorno le sarebbero state molto a cuore. La verità era che Margherita, per quanto si sforzasse, non era mai riuscita a godere pienamente delle sue esperienze, quindi il diario (come un foglio di carta qualsiasi, uno scontrino) rappresentava l'involucro irreale da riaprire anni dopo, come una tomba egizia di cui si vuole scoprire il segreto.

0ggi è sbucata dal terreno la prima fogliolina di girasole... 

lunedì 12 marzo 2012

amiche tutte

a camminare con le unghie sulla tastiera 
ci metto poco come quando faccio il caffè 
o assisto un tramonto nel suo tuffarsi 
senza paura 
fammi compagnia 
nella vita che non mi piace 
in ogni rifugio carbone 
nelle nostre infinite paure 
fammi compagnia 
giusto per non restare da sola 
noi che come soli 
nemmeno ci guardiamo 

i miei incubi vengono a voi 
come maledizioni piccole 
e grandi desideri 

vi odio 
nel modo più delirante 

{...}

sabato 3 marzo 2012

bar

so percepire
e guardare
non vedere
il male
intorno a me
la bellezza
delle altre persone
me la graffio addosso
non riesco
a sdrammatizzarmi
non riesco
a conoscermi
e raccogliermi
i brandelli
li vedo alti
e altri
eppure
guarda
si muovono ancora
i miei occhi tristi
e la mia pancia
cammina nel sonno
e nei miei respiri
nella mia vita
puoi
ancora tu
stamparti
inchiodarti a me
spillarti alle nocche
alle tazze al vino
non per vederci
ma per guardarci
e percepirci

giovedì 1 marzo 2012

Margherita e il resto -

Era tornata a casa dei suoi da un po'. 
Aveva preso la cumana, si era imbattuta in una serie di maniaci. 
Marzo si stava solo aprendo e lei già aveva caldo. 
Eppure tremava nel suo giaccone grigio, con la paura del non-ritorno, del mai-più, dell'abbandono. Da qualche tempo continuava a vedersi perduta, per questo aveva deciso di tornare dai suoi genitori, nella sua stanza da adolescente quale continuava ad essere. "Soffro di vecchiaia a neanche trent'anni" e sbuffava, sbuffava. 
Riempì la casa di origami a forma di fenicottero e libri usati. Le mancavano troppe cose, ed il tempo non le lasciava niente, ancora. Si vedeva perduta, ancora. Quante bugie, ancora!
Sorrise alla fotografia che le stava per fare sua nipote, ignorando il resto. 

martedì 21 febbraio 2012

lettere a casikdhsjgcuyghdiusjwhdxksu !




io ero una persona assolutamente felice 
mi nascondevo nella mia finta paura del futuro 
guardando avanti 
prendevo ogni parola con la leggerezza del momento 
contando i metri che ci distinguevano senza separarci  

ero una persona che distruggeva gli intenti 
felice di poterne costruire altri chiudendo le porte 
agli esterni 

le cose importanti mi fanno male 
perchè non sono più 
una persona assolutamente felice 
che pur imparando un'altra lingua 
perfetta per i miei nidi interiori 
non so ancora raccontare 
del mio voler bene 


sabato 18 febbraio 2012

La neve


Incredibile che hai già smesso e dicevi che sarebbe stato e poi parlavi di rientri futuri stanchi voglio andare solo a letto. Tutte bugie una sull'altra, impilate come compact disk, come la mia fame, come la mia fifa, come la borsa dell'acqua calda sotto la mia pancia. Come i tasselli di questa coperta: una ripetizione. Non mi consola niente, nemmeno il fatto di aver impressionato, di aver fatto sorridere, di essermi sprecata in invenzioni bassa lega solo per la felicità di un cuore che non c'è, che dice che non possiamo esserci, che non possiamo essere assieme. La mia stessa noia mi opprime i sensi. Lampadine rosse al neon e la paura di non superare la notte negli spasmi. Mi sento grande e piccola, piccola e grande, insignificante, assoluta proprio adesso che non devo. Muoio in una volta celeste qualsiasi - che sia anche quella di Michelangelo non importa - senza alcuna lacrima.

mercoledì 15 febbraio 2012

intraprendere una normale e qualsiasi vita sociale

adesso che sembro grande
ma in realtà dentro continuo
a ripetermi
il mio numero di casa
per impararlo
mi guardo indietro
e come una medusa cerco di afferrare
la mia panetteria torinese
i miei libri di Parigi
la mia purezza
anelli diversi
sicuramente non di fumo
e il giorno del mio compleanno
immacolato e perfetto
nella musica arancione
di un tempo

venerdì 27 gennaio 2012

anni tré

non è mica tanto speciale
la mia emozione
nel ricordare riordinare
il mio passato da giudicare

eri minuscola nella mia mano
che non piangevi nemmeno
sospiravi alla luce al neon
che ti era stata regalata
e soffiavi per parlarmi
in una lingua che non si studia

mi sorprendo negli occhi
con il pianto nelle mani
e qualche parola
da filtrare
ancora
in una lingua
che non si studia

venerdì 20 gennaio 2012

Ventunoecinquantaquattro - 5


Margherita in quel momento desiderava soltanto una cosa: che tutti quanti sapessero di lei e del suo darsi alle persone più di qualsiasi altra cosa, della sua passione più grande, dell'esistenza della sua gatta, del suo fare le sciarpe. Al contempo però era nauseata dall'intero mondo. Avrebbe apprezzato di gran lunga scappare su un altro pianeta, piuttosto che aggrapparsi all'idea che per sopravvivere avrebbe dovuto lavorare per altri quarant'anni. Senza nessuno al suo fianco, poi.
A parte un gatto, il che non era mica male. Solo che forse Margherita avrebbe preferito qualcuno della sua stessa specie, qualcuno di umano, con le mani e coi capelli. Senza baffi, magari. "Un po' magrolino" si diceva, e sorrideva impastando farina, acqua e lievito. Stava preparando una specie di pizza per quei pochi amici che le erano rimasti: dopo essere andata a trovare Tobia dopo così tanto tempo, chiunque era uscito dal proprio guscio di timidezza e aveva voluto sapere come stava. Margherita, raccolta l'ipocrisia, se ne fece una ragione e decise di invitarli tutti a cena. Ad una cena piccola, modesta, in una casa arredata Ikea che sembra una bambolina presa e messi lì, s'intende.
Quindi aveva preparato i pomodorini con salsa piccante e aveva messo tutto da parte, iniziando a fare l'impasto con in sottofondo Tom Waits. Un libro la chiamava dalla sedia della cucina, mangiucchiato ai bordi da Musetta che non si faceva mai i fatti suoi. La posta quel giorno non era arrivata, e la signorina ne fu felice. Si sentiva quasi sollevata, in realtà, al pensiero che qualcuno le voleva ancora bene. Eppure un piccolo magone si annidava giusto al centro del suo sterno, perforandola. Era la nausea dell'abbandono, l'incondizionata voglia di tornare indietro e lasciarsi andare a quelle piccole cose a cui aveva rinunciato per pigrizia o - molto più probabile - per timidezza. Che fine aveva fatto la sua spensieratezza?, la sua minuziosa curiosità?
Ogni qual volta pensava a quei giorni, le cadeva l'intero mondo addosso.
Perché si vedeva chiusa e senza speranze. In ritardo.

Quando suonò il campanello, l'orologio segnava le ventunoecinquantaquattro.

martedì 17 gennaio 2012

Il palazzo di Tobia - 4


La borsa sul pavimento, i fogli sparsi: a Margherita serviva solo una penna per impazzire del tutto. Aveva iniziato ad odiarli tutti, dal primo all'ultimo, e le fotografie non aiutavano. Erano in ritardo con la consegna dello stipendio, in ritardo di tre mesi. "Accumuliamo" le dicevano, "poi avrai tutti i tuoi danni". Ma la signorina non ci credeva e si vedeva persa nel suo buco di casa di Bologna arredata dall'Ikea come una bomboniera presa e messa lì; cattiva nei confronti della propria gatta che da giorni andata avanti a latte scremato, e nei suoi stessi confronti: beveva solo caffè studiando ogni singolo documento che le era rimasto da quando se n'era andata da Napoli. Sua madre aveva preferito non avvisarla; nel frattempo spulciava. "Contatore, acqua, telefono" riempiva la moka dal lavandino del bagno continuando a leggere, camminando frenetica, accigliata. E non riusciva a dirsi altro che "Rivoglio tutto indietro".
Rivoleva la sua vecchia casa con le cene natalizie e il profumo del mare, le luci dei lampioni sempre calde e anche le rapine, voleva anche le rapine. I sanpietrini con gli spiccioli incastrati, le borse sulle bancarelle, i vestiti comprati in piazza. I sabato sera discutibili, i libri rovinati di Port'Alba.
Sorseggiava avida pensando che l'unica cosa che avrebbe potuto salvarla sarebbe stata tornare a casa, abbandonare tutto e cercare altro. Oppure andare sul Montenuovo in bicicletta, mangiare qualcosa e poi buttarsi giù.

Tra le due cose, effettivamente discutibili, decise di affidarsi al tempo passato.
Sorrise tra sè per tutto quello che aveva pensato: non avrebbe mai potuto, proprio adesso, lasciare Bologna.
Si trovò così in via Zamboni trentasei, sotto il palazzo di Tobia.

lunedì 16 gennaio 2012

Latte scremato - 3


Margherita tornò a casa per pranzo. Posò la piccola borsa sul settimino tuttofare all'entrata, e si avviò verso la cucina. I documenti li aveva lasciati tra le carte dell'ufficio. "Tanto dopo ci devo tornare" pensò, e salutò la gatta senza vederla, perchè vagava ancora regina della casa. Margherita urlò il suo nome, fischiando poi per farla avvicinare. Il cappotto che sembrava di vellutino stavolta l'aveva poggiato sulla sedia della cucina insieme alla sciarpa coi pois. Sul tavolo dueperdue aveva steso una tovaglietta verde mela. La luce entrava indisturbata, tanto da commuovere. Bologna quella mattina si era svegliata come un bambino, piangendo poco sul pavimento della piazza che già si era asciugato, facendo spazio al timido sole d'inverno. Margherita rientrando aveva visto dei passerotti e qualche micio, tutti accovacciati qua e là, dispersi nel suo cammino a sonnecchiare felici. Non si era avvicinata per paura di svegliarli, aveva preferito guardarli da lontano, tornando a casa, cercando di assorbire nella sua mente tutta la loro naturale bellezza. Si commosse dentro, e per un attimo si illuse di essere una di loro.
Quando squillò il telefono stava preparando la ciotolina della gatta. Andò a rispondere che aveva le mani ancora un po' impiastricciate, unte di ciò che ultimamente le veniva a costare di più, ma che rendeva felice la sua sorella felina. La casa vibrava nel silenzio. Fuori c'era un po' di vento, ma si stava bene anche senza riscaldamenti, adesso. Le persiane erano quasi tutte abbassate; solo quella della cucina era stata aperta, così che il vocio di fuori avrebbe fatto compagnia a Musetta durante la sua assenza. Spesso aveva pensato di farla accoppiare, o addirittura di trovarle una sorella che le fosse simile, ma non aveva mai trovato il tempo neanche per portarla dal veterinario, salvo quelle prime volte necessarie.
Margherita trovò Musetta che era completamente sola, minuscola, rosea, sotto un porticato. Non piangeva, non tremava, non si lamentava neanche: appena la signorina la prese tra le dita, lei iniziò a miagolare felice. Non riusciva ancora a fare le fusa, ma dimostrò il suo affetto leccandole i palmi e annusandola tutta. Margherita se la strinse al petto, consapevole del fatto che mamma gatta, una volta tornata, non avrebbe mai più accettato un cucciolo dall'odore diverso dal suo. Ma la ragazza non poteva farci nulla: l'amava, e decise di aspettare per ore, rimandando il suo allora studio universitario. Restò lì, sotto un porticato qualsiasi in una qualsiasi sera bolognese, ad aspettare una madre che non si fece vedere mai. Fu così, in realtà, che decise di portarla con sè nella sua vita. Erano i tempi degli amori, quelli. L'amore per la letteratura, la scrittura, gli amici, i luoghi assolati, le cartoline, le foto, Tobia, i segni. E Musetta fu la benvenuta, battezzata così per il suo muso scuro rispetto al resto del corpicino completamente rosso.
Appena arrivata in quella nuova vita, la micia si diede subito un tono: dapprima maldestra, col tempo imparò a passeggiare da vera regina, pavoneggiandosi tra le gambe delle sedie o tra i fili elettrici, sempre attenta curarsi le unghie su una qualsiasi superficie delicata. E miagolava in maniera pacata, ruffiana, gatta. Tutte le persone che varcarono la soglia della porta di quella casa, non poterono non innamorarsene. Nonostante questo, però, Musetta preferì non abbandonarsi mai a delle mani che non fossero della sua padrona e salvatrice. Difatti, con lei la gatta si aprì spaventosamente, quasi ruggendo di dolore nelle notti in cui Margherita stava male, o facendo le fusa anche ai mobili durante le sere di festa.
Le piaceva la musica, l'odore dell'incenso, il latte scremato e le forme della luce del sole da rincorrere per tutta la cucina. A volte, da maldestra qual era sempre stata, inciampava ancora, provvedendo poi, immediatamente, a rimettersi in riga senza farsi vedere. Si impettiva, il muso verso l'alto, camminava fiera nei suoi sei chili di corpo e pelo. Margherita, con la cornetta all'orecchio, la guardava passeggiare nel corridoio, avanti e indietro, aspettandola. "Scusami, non è che potresti richiamarmi stasera?, adesso devo andare. Torno verso le otto e mezza", attaccò e sorrise avviandosi in cucina.     

venerdì 13 gennaio 2012

Nemmeno il destino - 2

Siamo spiacenti di comunicarle che il cliente da lei chiamato non è al momento raggiungibile. La invitiamo a riprovare più tardi. Grazie_

Con il computer sulle gambe per riscaldarsi, Margherita staccava di nuovo il telefono, delusa. "Domani devo andare a lavoro domani devo andare a lavoro domani devo andare a lavoro" pensava, e non voleva crederci. Fuori c'erano più o meno dieci gradi, rientrando non c'aveva fatto molto caso perché la distanza dal portone al metrò era breve, si doveva soltanto attraversare la piazza. Ma una volta a casa, senza riscaldamenti, iniziava a sentirsi pure il vento di fuori. Domenica sera, trenici gennaio. Resoconto: diciannove euro soliti spesi per la spesa, fettuccine in frigo, scatola del caffè quasi piena. Musetta sotto il letto. Coperte pulite, finestre chiuse. Disegni sparsi.
Aveva ritrovato un paio di disegni dei tempi del liceo, di quando stava a Napoli e c'era il sole. Glieli aveva lasciati Domitilla. "Chissà che fine ha fatto" pensò soffiandosi tra le mani, le dita lunghe, "chissà.."; li aveva appesi entrambi sul muro d'ingresso, entrambi raffiguranti lei, Margherita, signorina, preziosa, totalmente diversa: sette chili in più, un po' di felicità negli occhi ancora grandi. Le piacevano gli stivali bassi, i maglioni di suo nonno, perdere il tempo. Fumare non le piaceva, per esempio: iniziò a diciotto anni, l'anno successivo a quei disegni datati millenovecentonovantanove. "Quanto tempo" disse svegliando il gatto, "più di dieci anni cazzo" e non ci pensò più.
L'appartamento era troppo vuoto. Adesso che Margherita era cresciuta, aveva lasciato qualcosa indietro poggiato da qualche parte, mentre altre cose le aveva tenute per sè come piccoli tesori da continuare a coltivare. Il mito della scrittura, per esempio. Oppure i ciclamini.
Si voltava e vedeva troppe cose in tutto quel tempo che aveva tentato di trattenere, ma che era scappato comunque. Tobia, la cenere, le carte, le parole i prati i gatti i messaggi sul cellulare, le promesse. Si rendeva conto solo ora di essere stata gelosa di tutti i suoi amici in maniera maniacale, e di averli trattati come fratelli tutti, prescindendo dal loro volerle bene. Un po' piangeva dentro, Margherita, e se ne meravigliava: Napoli le stava iniziando a mancare sul serio dopo più di cinque anni. Pagando l'affitto, con gatto e cucinino. Perfetta nel suo essersi ritrovata, finalmente: le mancava Napoli.
"Incredibile" si disse, "domani devo andare a lavoro".

giovedì 12 gennaio 2012

Due giorni fa Margherita ha parlato della sua solitudine

Sì è tolta la sciarpa coi pois alla fine, tipo tenda ma di lana, l'ha piegata e messa sulla sedia, poi ha tolto il cappotto dell'anno scorso, quello che sembra di vellutino, e l'ha messo sulla sciarpa sulla sedia, senza pensarci: gli undici gradi di fuori le hanno quasi congelato le ossa, tanto che adesso per battere i denti o anche solo per spostare i capelli dietro le orecchie si fa male. Giornata solita, sobria, non proprio vuota ma quasi. Prima l'ufficio (sei ore e mezza senza spacco), poi la panetteria, tra una corsa in macchina ed un'altra. Il tram oggi non l'ha preso, perché ieri mamma le ha dato qualche soldo in più per il Natale che incombe. "Te li conservi per Capodanno ja, non si sa mai"; sua madre non aveva mai saputo fare l'occhiolino, almeno stando a quel che riusciva a ricordare, eppure adesso gliel'aveva fatto e sembrava pure felice. Tutta la sua famiglia l'aveva vista sempre da sola, dalla fine dell'Università quando si era lasciata con un tale di cui però non avevano mai capito il nome. Era del nord, dove lei si era trasferita a studiare, ed era messo bene a soldi, così dicevano, anche se si vestiva da straccione.
Li vedevano passeggiare a braccetto il sabato mattina, o nei week-end quando scendevano a salutare, ma non si erano mai presentati a casa assieme. Lei lo giustificava, "Si vergogna", ma in realtà lui non voleva e basta. La famiglia le credeva senza insistere: che la figlia stesse bene, questo contava, che non si fosse sciupata o non avesse iniziato a fumare. Invece Margherita fumava eccome nella sua piccola casa di Bologna, dove nessuno la poteva vedere nè sgridare. E si trovava bene perché cucinava poco e comprava quello che bastava e poteva stare sveglia fino a quando voleva, tanto era sola. Solissima, nella sua casa di Bologna arredata all'Ikea, confezionata e messa lì come una bomboniera, piena di libri e un gatto. Quell'appartamento aveva visto talmente tante persone, Margherita non riusciva a pensarci, e si diceva spesso "Sì, io qui ci stono proprio". Ma poi si rassegnava, dicendosi che non faceva niente, che adesso era il suo turno e ci stava lei, e un po' si rasserenava.
Erano un paio di anni che a casa non riceveva quasi più nessuno, nemmeno il fattorino della spesa o il postino. Si faceva appendere il pane (saltuariamente) alla maniglia della porta quando non c'era, ed i pacchi che le consegnavano se li faceva lasciare fuori la porta se troppo ingombranti, altrimenti sotto lo zerbino. Musetta, il suo gatto, ormai non si lamentava nemmeno più: ogni tanto le si avvicinava per farle le fusa e tenerle compagnia; aveva imparato a non piangere più nemmeno per la fame. Margherita se n'era accorta, e non poteva esserne più triste. Ogni tanto si presentava sul suo cuscino a quadri con una pallina di feltro o una busta di carta per farla giocare, ma niente. Quindi si ritrovava da sola, in una casa muta.
Da sola aspettando il tram, da sola al lavoro, da sola davanti allo specchio mentre si lavava i denti, da sola nel letto grande. Da sola in cucina mentre si preparava da mangiare, da sola al supermercato o davanti un vestito, sola nell'armadio, sola sotto il letto, nel cuscino, nel metrò. Sola con le spalle al muro mentre faceva i piatti, sola a mettere il caffè nella moka.
Piangeva spesso, Margherita, anche per il lavoro che aveva trovato e per la Laurea in Lingue che non le era servita a niente. Le sarebbe piaciuto viaggiare o sposare il suo vero amore dell'adolescenza. Le sarebbe piaciuto creare. Ma adesso, nella tristezza della fine di un giorno, mentre le nuvole calano sui porticati, Margherita attraversa la piazza coi suoi ventisette anni, una borsa grande dove tenere i pensieri, e delle scarpe comode per non inciampare.  

lunedì 9 gennaio 2012

*

c'è una ragazza che passeggia senza mamma
arriva a piedi fino alla fine del lungomare
poi torna
e racconta
alla mamma quel che si deve fare
secondo lei
per amare

ci sono pensieri lunghi quanto
la distanza da qua alla luna
oppure la lunghezza di un paio di mani

c'è da mangiare
tutto quello che vuoi conservare
i ricordi i desideri i pensieri le parole  
tutto
la ragazza che passeggia senza mamma
mette a tavola il piatto 
e aspetta
un altro anno


a u g u r i