martedì 17 gennaio 2012

Il palazzo di Tobia - 4


La borsa sul pavimento, i fogli sparsi: a Margherita serviva solo una penna per impazzire del tutto. Aveva iniziato ad odiarli tutti, dal primo all'ultimo, e le fotografie non aiutavano. Erano in ritardo con la consegna dello stipendio, in ritardo di tre mesi. "Accumuliamo" le dicevano, "poi avrai tutti i tuoi danni". Ma la signorina non ci credeva e si vedeva persa nel suo buco di casa di Bologna arredata dall'Ikea come una bomboniera presa e messa lì; cattiva nei confronti della propria gatta che da giorni andata avanti a latte scremato, e nei suoi stessi confronti: beveva solo caffè studiando ogni singolo documento che le era rimasto da quando se n'era andata da Napoli. Sua madre aveva preferito non avvisarla; nel frattempo spulciava. "Contatore, acqua, telefono" riempiva la moka dal lavandino del bagno continuando a leggere, camminando frenetica, accigliata. E non riusciva a dirsi altro che "Rivoglio tutto indietro".
Rivoleva la sua vecchia casa con le cene natalizie e il profumo del mare, le luci dei lampioni sempre calde e anche le rapine, voleva anche le rapine. I sanpietrini con gli spiccioli incastrati, le borse sulle bancarelle, i vestiti comprati in piazza. I sabato sera discutibili, i libri rovinati di Port'Alba.
Sorseggiava avida pensando che l'unica cosa che avrebbe potuto salvarla sarebbe stata tornare a casa, abbandonare tutto e cercare altro. Oppure andare sul Montenuovo in bicicletta, mangiare qualcosa e poi buttarsi giù.

Tra le due cose, effettivamente discutibili, decise di affidarsi al tempo passato.
Sorrise tra sè per tutto quello che aveva pensato: non avrebbe mai potuto, proprio adesso, lasciare Bologna.
Si trovò così in via Zamboni trentasei, sotto il palazzo di Tobia.

1 commento:

  1. E' così, se non peggio.
    Però si va avanti, si deve, questo è certo.
    Θ

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