venerdì 20 gennaio 2012

Ventunoecinquantaquattro - 5


Margherita in quel momento desiderava soltanto una cosa: che tutti quanti sapessero di lei e del suo darsi alle persone più di qualsiasi altra cosa, della sua passione più grande, dell'esistenza della sua gatta, del suo fare le sciarpe. Al contempo però era nauseata dall'intero mondo. Avrebbe apprezzato di gran lunga scappare su un altro pianeta, piuttosto che aggrapparsi all'idea che per sopravvivere avrebbe dovuto lavorare per altri quarant'anni. Senza nessuno al suo fianco, poi.
A parte un gatto, il che non era mica male. Solo che forse Margherita avrebbe preferito qualcuno della sua stessa specie, qualcuno di umano, con le mani e coi capelli. Senza baffi, magari. "Un po' magrolino" si diceva, e sorrideva impastando farina, acqua e lievito. Stava preparando una specie di pizza per quei pochi amici che le erano rimasti: dopo essere andata a trovare Tobia dopo così tanto tempo, chiunque era uscito dal proprio guscio di timidezza e aveva voluto sapere come stava. Margherita, raccolta l'ipocrisia, se ne fece una ragione e decise di invitarli tutti a cena. Ad una cena piccola, modesta, in una casa arredata Ikea che sembra una bambolina presa e messi lì, s'intende.
Quindi aveva preparato i pomodorini con salsa piccante e aveva messo tutto da parte, iniziando a fare l'impasto con in sottofondo Tom Waits. Un libro la chiamava dalla sedia della cucina, mangiucchiato ai bordi da Musetta che non si faceva mai i fatti suoi. La posta quel giorno non era arrivata, e la signorina ne fu felice. Si sentiva quasi sollevata, in realtà, al pensiero che qualcuno le voleva ancora bene. Eppure un piccolo magone si annidava giusto al centro del suo sterno, perforandola. Era la nausea dell'abbandono, l'incondizionata voglia di tornare indietro e lasciarsi andare a quelle piccole cose a cui aveva rinunciato per pigrizia o - molto più probabile - per timidezza. Che fine aveva fatto la sua spensieratezza?, la sua minuziosa curiosità?
Ogni qual volta pensava a quei giorni, le cadeva l'intero mondo addosso.
Perché si vedeva chiusa e senza speranze. In ritardo.

Quando suonò il campanello, l'orologio segnava le ventunoecinquantaquattro.

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