giovedì 12 gennaio 2012

Due giorni fa Margherita ha parlato della sua solitudine

Sì è tolta la sciarpa coi pois alla fine, tipo tenda ma di lana, l'ha piegata e messa sulla sedia, poi ha tolto il cappotto dell'anno scorso, quello che sembra di vellutino, e l'ha messo sulla sciarpa sulla sedia, senza pensarci: gli undici gradi di fuori le hanno quasi congelato le ossa, tanto che adesso per battere i denti o anche solo per spostare i capelli dietro le orecchie si fa male. Giornata solita, sobria, non proprio vuota ma quasi. Prima l'ufficio (sei ore e mezza senza spacco), poi la panetteria, tra una corsa in macchina ed un'altra. Il tram oggi non l'ha preso, perché ieri mamma le ha dato qualche soldo in più per il Natale che incombe. "Te li conservi per Capodanno ja, non si sa mai"; sua madre non aveva mai saputo fare l'occhiolino, almeno stando a quel che riusciva a ricordare, eppure adesso gliel'aveva fatto e sembrava pure felice. Tutta la sua famiglia l'aveva vista sempre da sola, dalla fine dell'Università quando si era lasciata con un tale di cui però non avevano mai capito il nome. Era del nord, dove lei si era trasferita a studiare, ed era messo bene a soldi, così dicevano, anche se si vestiva da straccione.
Li vedevano passeggiare a braccetto il sabato mattina, o nei week-end quando scendevano a salutare, ma non si erano mai presentati a casa assieme. Lei lo giustificava, "Si vergogna", ma in realtà lui non voleva e basta. La famiglia le credeva senza insistere: che la figlia stesse bene, questo contava, che non si fosse sciupata o non avesse iniziato a fumare. Invece Margherita fumava eccome nella sua piccola casa di Bologna, dove nessuno la poteva vedere nè sgridare. E si trovava bene perché cucinava poco e comprava quello che bastava e poteva stare sveglia fino a quando voleva, tanto era sola. Solissima, nella sua casa di Bologna arredata all'Ikea, confezionata e messa lì come una bomboniera, piena di libri e un gatto. Quell'appartamento aveva visto talmente tante persone, Margherita non riusciva a pensarci, e si diceva spesso "Sì, io qui ci stono proprio". Ma poi si rassegnava, dicendosi che non faceva niente, che adesso era il suo turno e ci stava lei, e un po' si rasserenava.
Erano un paio di anni che a casa non riceveva quasi più nessuno, nemmeno il fattorino della spesa o il postino. Si faceva appendere il pane (saltuariamente) alla maniglia della porta quando non c'era, ed i pacchi che le consegnavano se li faceva lasciare fuori la porta se troppo ingombranti, altrimenti sotto lo zerbino. Musetta, il suo gatto, ormai non si lamentava nemmeno più: ogni tanto le si avvicinava per farle le fusa e tenerle compagnia; aveva imparato a non piangere più nemmeno per la fame. Margherita se n'era accorta, e non poteva esserne più triste. Ogni tanto si presentava sul suo cuscino a quadri con una pallina di feltro o una busta di carta per farla giocare, ma niente. Quindi si ritrovava da sola, in una casa muta.
Da sola aspettando il tram, da sola al lavoro, da sola davanti allo specchio mentre si lavava i denti, da sola nel letto grande. Da sola in cucina mentre si preparava da mangiare, da sola al supermercato o davanti un vestito, sola nell'armadio, sola sotto il letto, nel cuscino, nel metrò. Sola con le spalle al muro mentre faceva i piatti, sola a mettere il caffè nella moka.
Piangeva spesso, Margherita, anche per il lavoro che aveva trovato e per la Laurea in Lingue che non le era servita a niente. Le sarebbe piaciuto viaggiare o sposare il suo vero amore dell'adolescenza. Le sarebbe piaciuto creare. Ma adesso, nella tristezza della fine di un giorno, mentre le nuvole calano sui porticati, Margherita attraversa la piazza coi suoi ventisette anni, una borsa grande dove tenere i pensieri, e delle scarpe comode per non inciampare.  

Nessun commento:

Posta un commento