lunedì 16 gennaio 2012

Latte scremato - 3


Margherita tornò a casa per pranzo. Posò la piccola borsa sul settimino tuttofare all'entrata, e si avviò verso la cucina. I documenti li aveva lasciati tra le carte dell'ufficio. "Tanto dopo ci devo tornare" pensò, e salutò la gatta senza vederla, perchè vagava ancora regina della casa. Margherita urlò il suo nome, fischiando poi per farla avvicinare. Il cappotto che sembrava di vellutino stavolta l'aveva poggiato sulla sedia della cucina insieme alla sciarpa coi pois. Sul tavolo dueperdue aveva steso una tovaglietta verde mela. La luce entrava indisturbata, tanto da commuovere. Bologna quella mattina si era svegliata come un bambino, piangendo poco sul pavimento della piazza che già si era asciugato, facendo spazio al timido sole d'inverno. Margherita rientrando aveva visto dei passerotti e qualche micio, tutti accovacciati qua e là, dispersi nel suo cammino a sonnecchiare felici. Non si era avvicinata per paura di svegliarli, aveva preferito guardarli da lontano, tornando a casa, cercando di assorbire nella sua mente tutta la loro naturale bellezza. Si commosse dentro, e per un attimo si illuse di essere una di loro.
Quando squillò il telefono stava preparando la ciotolina della gatta. Andò a rispondere che aveva le mani ancora un po' impiastricciate, unte di ciò che ultimamente le veniva a costare di più, ma che rendeva felice la sua sorella felina. La casa vibrava nel silenzio. Fuori c'era un po' di vento, ma si stava bene anche senza riscaldamenti, adesso. Le persiane erano quasi tutte abbassate; solo quella della cucina era stata aperta, così che il vocio di fuori avrebbe fatto compagnia a Musetta durante la sua assenza. Spesso aveva pensato di farla accoppiare, o addirittura di trovarle una sorella che le fosse simile, ma non aveva mai trovato il tempo neanche per portarla dal veterinario, salvo quelle prime volte necessarie.
Margherita trovò Musetta che era completamente sola, minuscola, rosea, sotto un porticato. Non piangeva, non tremava, non si lamentava neanche: appena la signorina la prese tra le dita, lei iniziò a miagolare felice. Non riusciva ancora a fare le fusa, ma dimostrò il suo affetto leccandole i palmi e annusandola tutta. Margherita se la strinse al petto, consapevole del fatto che mamma gatta, una volta tornata, non avrebbe mai più accettato un cucciolo dall'odore diverso dal suo. Ma la ragazza non poteva farci nulla: l'amava, e decise di aspettare per ore, rimandando il suo allora studio universitario. Restò lì, sotto un porticato qualsiasi in una qualsiasi sera bolognese, ad aspettare una madre che non si fece vedere mai. Fu così, in realtà, che decise di portarla con sè nella sua vita. Erano i tempi degli amori, quelli. L'amore per la letteratura, la scrittura, gli amici, i luoghi assolati, le cartoline, le foto, Tobia, i segni. E Musetta fu la benvenuta, battezzata così per il suo muso scuro rispetto al resto del corpicino completamente rosso.
Appena arrivata in quella nuova vita, la micia si diede subito un tono: dapprima maldestra, col tempo imparò a passeggiare da vera regina, pavoneggiandosi tra le gambe delle sedie o tra i fili elettrici, sempre attenta curarsi le unghie su una qualsiasi superficie delicata. E miagolava in maniera pacata, ruffiana, gatta. Tutte le persone che varcarono la soglia della porta di quella casa, non poterono non innamorarsene. Nonostante questo, però, Musetta preferì non abbandonarsi mai a delle mani che non fossero della sua padrona e salvatrice. Difatti, con lei la gatta si aprì spaventosamente, quasi ruggendo di dolore nelle notti in cui Margherita stava male, o facendo le fusa anche ai mobili durante le sere di festa.
Le piaceva la musica, l'odore dell'incenso, il latte scremato e le forme della luce del sole da rincorrere per tutta la cucina. A volte, da maldestra qual era sempre stata, inciampava ancora, provvedendo poi, immediatamente, a rimettersi in riga senza farsi vedere. Si impettiva, il muso verso l'alto, camminava fiera nei suoi sei chili di corpo e pelo. Margherita, con la cornetta all'orecchio, la guardava passeggiare nel corridoio, avanti e indietro, aspettandola. "Scusami, non è che potresti richiamarmi stasera?, adesso devo andare. Torno verso le otto e mezza", attaccò e sorrise avviandosi in cucina.     

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